È proprio vero: mettere d’accordo più soggetti non risulta mai semplice!

Se già nel 2008 la direttiva europea 2008/95/CE del Parlamento europeo, interpretando la necessità sia degli uffici preposti alla disamina dei marchi che dell’utente finale, chiariva da quali principi dovesse essere guidata la valutazione del rischio di confusione tra marchi o, quantomeno evidenziava la necessità di valutare globalmente l’insieme dei fattori pertinenti al caso di specie, fino ad oggi soggiacevano, per la maggior parte,  alla personale convinzione dell’esaminatore regionale determinando necessariamente una discrasia tra uffici nell’analisi del medesimo marchio.

Registriamo in Spagna, no forse meglio in Romania!

In vero, i primi orientamenti in tal senso, relativi alla valutazione globale del marchio, possono rinvenirsi dapprima nella sentenza C- 251/95 “Sabel” poi anche nella C 342/97 “Lloyd Schuhfabrik Meyer che ribattono, per ciò che concerne la somiglianza visuale, fonetica o concettuale dei marchi, sull’impressione complessiva prodotta dagli stessi tenendo nella giusta considerazione i loro elementi distintivi e dominanti.

Ma si sa, tutto è relativo, anche nel diritto. Una cosa è certa, tale substrato paragiuridico non può che determinare una latente mancanza di chiarezza ma soprattutto l’incertezza del diritto stesso.

Gli uffici marchi dell’Unione europea, al fine di ovviare alle suddette problematiche hanno concordato una prassi comune da adottare circa gli impedimenti relativi nell’esame del rischio di confusione. In particolare, in questa prima fase, che vedrà la luce dopo 3/4 mesi dalla data di pubblicazione (2 ottobre 2014), verrà focalizzata l’attenzione sull’impatto degli elementi dei marchi privi di carattere distintivo/con carattere distintivo debole.  Tale convergenza d’approccio correrà lungo quattro obiettivi: 1) Definire quali marchi sottoporre alla valutazione del carattere distintivo: il marchio anteriore (e/o parti dello stesso) e/o il marchio posteriore (e/o parti dello stesso); 2) Stabilire i criteri di valutazione del carattere distintivo del marchio; 3) Stabilire l’impatto sul rischio di confusione nei casi in cui gli elementi comuni abbiano un carattere distintivo debole, infine, 4) Stabilire l’impatto sul rischio di confusione nei casi in cui gli elementi comuni siano privi di carattere distintivo.

Se da un lato non si può che plàudere alla diligente organizzazione degli obiettivi dedotti nella prima fase della roadmap, risulta difficile non criticare talune esclusioni negli ambiti di applicazione della prassi che, verosimilmente, occuperanno i pensieri dell’esaminatore europeo.  Difatti, esulano dalla comunione prassistica  i fattori da considerare al momento della valutazione globale del rischio di confusione. Orbene, tale esclusione, delude non poco le aspettative riposte nell’idea europea che si proponeva di uniformare l’analisi critica dell’ufficio, sia esso regionale o europeo, consolidando ancora una volta quella deriva personalistica che, a ragion veduta, sosterrà le speculazioni del singolo a svantaggio della comunità “registrata”.

Si conceda allo scrivente di portare all’attenzione del lettore il risultato che ad oggi si è venuto a determinare non riponendo la giusta accuratezza nel distinguere fattori quali gli elementi dominanti, il grado di attenzione del pubblico pertinente e la situazione del mercato, nella disamina del rischio di confusione. Soccorre in tal senso il caso Limoncello vs Limonchelo che ha procurato non pochi problemi nell’interpretazione dell’art. 8 n. 1 lett. b appunto relativa al rischio di confusione. Il Tribunale di primo grado, non operando un esame fonetico e concettuale degli elementi costitutivi dei marchi si è vista annullare e rinviare la causa allo stesso. Sebbene il Tribunale in questione, applicando pedissequamente l’articolo 8 del regolamento sul marchio comunitario o quantomeno aderendo alla giurisprudenza sul punto, ben avrebbe potuto statuire compiutamente sulla controversia, decideva, invece di lanciarsi su di una valutazione “parziale” del marchio.  Appare a tal proposito plausibile che, con una qualificazione comune degli elementi operanti nella valutazione del rischio di confusione, detta controversia avrebbe verosimilmente trovato il giusto epilogo nell’applicazione della buona prassi.

Gettare il cuore oltre l’ostacolo non è affatto semplice viepiù quando a determinare la sorte del singolo vi sono interessi nazionali o semplicemente la mancanza di lungimiranza che a volte accompagna la penna del legislatore, ma, d’altronde questo è solo il principio . Keep finger crossed!